venerdì 10 novembre 2023

Donne scrivono Donne a cura di Lorenza Colicigno

 


Craft 17 novembre 2022

 

Quando si affronta il tema della scrittura delle donne non è tanto importante ma utile punto di partenza chiedersi se occupi nel tempo quantitativamente e qualitativamente spazi ridotti rispetto a quella degli uomini. Che una poesia antica al femminile esistesse gia' nel V secolo a.C. non aveva dubbi Corinna di Tanagra in Beozia, in gara polemica con Pindaro, che criticava con  ironia ed autoironia la sua conterranea Mirtide, perché «donna di nascita, come lei, era entrata in contesa con Pindaro».  Pitagora IV-V sec a. c. trasse la maggior parte delle sue dottrine etiche dagli insegnamenti di una sacerdotessa di Delfi, Themistoclea, e Filocoro di Atene riempì un intero volume, parlando delle discepole di Pitagora a Metaponto, scienziate e poetesse insieme, la più grande Teano. Antipatro di Tessalonica riservo' a 9 poetesse un epigramma palatino. Nell'antica citta' reale parta di Nisa, nel Turkestan sovietico, Paul Bernard crede di aver individuato una giostra di 10 poetesse greche, a partire da Corinna, Mirtide, Saffo. E Taziano nel Discorso ai Greci inventario', scandalizzato, ben 13 statue di autrici pagane. Presterà attenzione alle «prose» di Pieria Io. Christianus Wolfius, che ne raccogliera' nel '700 Fragmenta et Elogia, esiste poi un archivio contemporaneo delle donne scrittrici che comprende circa mille nomi. Superato l'aspetto quantitativo, entriamo nella questione della qualità, ambito molto delicato, poiché coinvolge non solo un mix di aspetti soggettivi, ma soprattutto oggettivi, cioè tutti gli aspetti legati alla divulgazione e alla trasmissione dei testi letterari, che determinano il gusto letterario, tradizionalmente governata da una cultura maschile, il che comporta che ciò che cambia rispetto agli uomini è il livello di “risonanza”, di “fama”, di “popolarità”, e quindi anche di capacità di incidere profondamente nell'universo della scrittura, dei suoi topoi e modelli. Per tradizione, una tradizione maschile, alla donna è spettato l'hic et nunc della parola orale, all'uomo quello del ubique et semper della parola scritta. Persistere in questo schema di lettura ha generato pregiudizi di cui uomini e donne continuano ad essere vittime, certamente, è tema che necessità di essere contestualizzato e storicizzato. La parola chiave è indubbiamente “durata”, la parola è durata, la scrittura conferma questa durata, e la massima estensione della durata è l'eternità, il dio cristiano non a caso è Verbum. Chi dà durata alla parola attraverso la scrittura inevitabilmente si sente parte di un destino di eternità che passa attraverso la fama, essa ne convalida la capacità modellizzante. Ma se confrontiamo le parole di Saffo, «Morta giacerai, né piu' alcuna memoria di te / ci sara', né ora né mai. Tu non sei piu' partecipe delle rose / di Pieria e come una qualunque anche in casa di Ade / vagherai fra spettri indistinti, svanita», con quelle di Virginia Wolf “Finchè scrivete ciò che volete scrivere, questa è la sola cosa che conta; e se conti per un giorno o per un’eternità, nessuno può dirlo.”, ci accorgiamo di un lungo cammino, nel quale sono stati montati e smontati molti clichet.

 

Cominciamo dall'inizio, da un riferimento mitico, la più antica scrittura femminile nella più antica cultura greca e magnogreca ebbe come protagoniste figure femminili, e ovviamente fu necessario che esse stesse fossero toccate dalla divinità maschile, sto parlando delle Sibille, quella Eritrea e quella Cumana, ma è proprio dal modello sibillino, che sembrano emergere tre coordinate antropologiche della scrittura femminile:

 

1)la scrittrice come detentrice di parole che racchiudono una forma di potere, le parole delle formule, dei riti è proprio questa la più pericolosa, e quindi assimilata alla medichessa, alla guaritrice, diventate spesso “le streghe”, aspetto che è molto presente nella nostra cultura popolare. La parola della donna è stata per molto tempo confinata nello spazio tra il silenzio dell’esclusione e la valutazione del suo  grido come follia. O muta, o pazza, non ci sfugga l'esperienza contemporanea di Alda Merini, o strega. A questo blocco della parola femminile sembrano rispondere queste di Antonia Pozzi: cc stessi e con l’Altro è stata temuta, perché metteva a rischio sistemi di potere consolidati. La tradizione, sempre maschile, ha considerato dominio della donna altri territori oltre quelli dell'oralità, quello della parola debole, la chiacchiera, la narrazione, l’affabulazione “nello spazio del gineceo”, ma la parola che scava alla ricerca della verità e la pronuncia, quella che dà accesso alla comunicazione forte e alla decisionalità, le è stata a lungo preclusa. Ma a noi tocca anche di entrare in questo meccanismo valutativo che considera la narrazione, l’affabulazione, come una sorta di recinto marginale della scrittura femminile.

 

2)    la verità e il coraggio della verità, specificità della scrittura femminile, potremmo richiamarci alla definizione data da Marianne Moore per la poesia: “uno spazio per l’autentico”, e condividere il pensiero di Paola Mastrocola che afferma: “La scrittura femminile, più di quella maschile, è costruita sulla ricerca della verità. Scrivere è riflettere su se stesse, guardare a costo di trovare il buio e l’orrore. E’ questo estremo coraggio dello sguardo”. Una caratteristica della donna che scrive è il richiamo dell’estremo, il suo non mediare, nell’arte come nella vita. Una volta presa coscienza, la donna che scrive la propria ribellione vi si consegna senza riserve. Ed ecco da un lato le scelte di avanguardia nei movimenti letterari, le scelte estreme nella politica (AKhmatova, Barkova, Cvetaeva), nel privato (dalla medievale Eloisa a Lou Salomè, Sibilla Aleramo, fino alle suicide, come la poco nota rionerese Giuliana Brescia, ma molte altre a partire da Virginia Wolf). Tra la ricerca e la pronuncia della verità si pone un altro aspetto della scrittura femminile: la consapevolezza di usare lo stesso strumento dell'uomo, la parola appunto, ma per dire cose diverse e dare sensi diversi. Antonia Pozzi lo dice bene, svelandoci nel contempo quanto questa consapevolezza possa essere motivo di dolore, prima che di orgoglio della propria differenza, in SFIDUCIA

3) La leggerezza, se vogliamo dirlo in termini calviniani, la leggerezza, che può essere intesa come dispersione e ambiguità, come appunto per i vaticini delle sibille, ma sul piano simbolico può anche essere segno di una ricerca di libertà, di sperimentazione di giochi combinatori e di sensi altri, come modo per sfuggire al peso di modelli maschili consolidati.

 

3)    Fernanda Romagnoli parla del tema della sua scrittura, l'amore, e della scrittura stessa come di un “gioco di fonosillabe”, è affascinante il collegamento con le foglie spinte vie dal vento insieme alle parole dei vaticini Sibillini. Ma quella che abbiamo definito leggerezza, è stata dalla critica fino all'età cibernetica tutta rigidamente maschile, definita superficialità. Il fatto che la donna prediliga il tema dell'amore, che lo tratti in termini diversi da quelli tradizionali, ha condannato alla dimenticanza tanta scrittura dell'800. In questo periodo molte donne hanno scritto libri, che, anche se non vi si trova una specifica “presa di coscienza”, sono più interessanti di molti libri maschili, ma, ignorati nelle storie letterarie e nelle antologie, sono “scomparsi”, liquidati dai “critici laureati” come “senza valore”. Eccessivo lirismo, autobiografismo compiaciuto, sentimentalismo sono i vocaboli più ricorrenti. Eppure autrici come Carola Prosperi, Neera, Marchesa Colombi, la Contessa Lara, per citarne alcune, hanno scritto poesie e storie con rivolti psicologici e sociali importanti, ma cosa più grave il giudizio negativo dei maschi ha pesato e pesa come un macigno anche sulla scelta di letture femminili. Perchè questo oscuramento che ha condizionato anche le donne lettrici? Perché le emozioni, il “di dentro”, la visceralità di uno scrivere senza filtri e senza censurare il sentimento, ne hanno determinato la svalutazione immediata, non tanto sulla base di un’analisi critica attenta, ma proprio sulla base della visione del mondo, per criteri, dunque, di pregiudizio sessista. I valori che hanno prevalso sono stati quelli maschili, sono stati gli uomini a decidere cosa avesse o no valore o significato universale. Dice Virginia Woolf: “Il calcio e lo sport sono importanti, la moda, i vestiti, sono futili…Questo è un libro importante, suppone il critico, perché tratta di guerra; questo è un libro insignificante, perché tratta dei sentimenti delle donne in un salotto”.

La scrittura delle donne, dunque, ha un “essere” e un “esistere” proprio, non recinto, limite, bensì sguardo sul mondo che dall'esperienza personale giunge ad abbracciare l'universo delle relazioni con il “sé” e con l'”altro”.

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