Lo spirito dello Haiku di Antonio Sacco
Possiamo partire dalla considerazione di fondo che vi sono molti haiku che pur presentando tutte le caratteristiche basilari di uno haiku non sono, ugualmente, veri e propri haiku proprio perché manca in essi un quid: lo “spirito dello haiku”. Con “tutte le caratteristiche basilari di uno haiku” intendo:
- Il kigo o il kidai, ossia il termine stagionale (kigo) o il tema stagionale (kidai) perché, come sappiamo, uno haiku, per esser considerato tale, deve essere contestualizzato in un determinato periodo dell’anno a meno che non voglia essere considerato un muki (uno haiku senza riferimento stagionale).
- Il metro di 5/7/5 sillabe per verso usando il conteggio sillabico metrico o quello ortografico.
- Toriawase (giustapposizione d’immagini). In uno haiku, infatti, troviamo, nella maggior parte dei casi, due immagini collegate fra esse in vario modo, le quali possono armonizzarsi fra esse (torihayasi) o entrare in contrasto (nibutsu sougheki).
- Il taglio (kire) il quale rende possibile il cambio d’immagine della toriawase. Esso è espresso in italiano attraverso i segni interpuntivi (punteggiatura) o alla fine del kamigo (primo verso) o alla fine del nakashichi (secondo verso). È grazie al taglio che abbiamo una pausa, una cesura mediante la quale il lettore viene preparato al cambio d’immagine.
su un ramo morto
un corvo si è posato –
crepuscolo d’autunno
(Basho)
In questo esempio troviamo tutte le caratteristiche testé citate di uno haiku: il kigo diretto (crepuscolo d’autunno), il metro di 5/7/5 “on” (nella versione originale giapponese), il taglio espresso dal trattino alla fine del secondo ku, una toriawase ben strutturata e sviluppata (l’immagine del corvo che si posa su un ramo secco e il crepuscolo).
Lo spirito dello haiku non è un concetto facile da spiegare, mi vengono in mente, a tal proposito, le parole che ebbe a scrivere Sant’Agostino a proposito del tempo: “Se nessuno me lo chiede, lo so bene ma se volessi darne spiegazione a chi me lo chiede non lo so più”. Una delle difficoltà connesse al voler spiegare cosa sia lo spirito dello haiku credo derivi dalla nostra mentalità occidentale: siamo stati così tanto influenzati del verso libero in base al quale tendiamo a voler dire troppo, a voler spiegare più del necessario al lettore. Bisognerebbe riscoprire il valore del “non-detto” così caro alla poesia orientale (e non solo allo haiku), è risaputo che, per scrivere un buon haiku, è necessario suggerire piuttosto che dire esplicitamente: è negli spazi bianchi fra le parole che vive lo spirito dello haiku!
In realtà molti così detti haiku sono semplicemente degli scritti in metro 5/7/5 non veri e propri haiku perché non presentano la minima traccia dei canoni estetici tipici dell’arte giapponese i quali li ritroviamo anche in letteratura. Tali canoni estetici sono fondamentali per capire lo spirito dello haiku: in primis il wabi-sabi, lo hosomi, la hanayaka solo per citarne alcuni e i corollari di questi canoni estetici (shiori, yugen, karumi, mono no aware, ecc.) purtroppo la trattazione di questi canoni estetici necessita di ampi approfondimenti ed esula dallo scopo di questo articolo. A titolo di esempio possiamo citare questo haiku di Basho in cui è evidente il canone estetico dello hosomi, la “sottigliezza” contemplativa:
una rosa di montagna –
sembra nata
da un filo di salice
Altro errore ricorrente, e in un certo senso assai temibile, che sovente (ahimè) capita è quello di dare tre immagini distinte in uno stesso haiku, una per ciascun verso. Salvo rari casi in cui questa tecnica è consapevolmente e volutamente usata, questa condizione fa sì che l’Autore si allontani dallo spirito dello haiku e mini seriamente la scorrevolezza dello scritto. E’ quindi una forma sicuramente da evitare almeno all’inizio quando il principiante si avvicina a questa forma di poesia.
Esempio da NON seguire:
notte di luna
cicale rumorose
prato di stelle
Come possiamo vedere questo haiku non ha la minima traccia dello spirito dello haiku perché, oltre a dare tre immagini in tre versi, non ha toriawase, non possiede neppure un canone estetico dell’arte giapponese, non lascia posto al non-detto ed al qui ed ora (hic et nunc).
C’è, inoltre, un’altra cosa ancora da notare: una differenza abissale fra gli haiku del Maestro Shiki, così detti “shasei”, cioè quegli haiku che cristallizzano, in un particolare significativo, una scena o un’immagine descrittiva della vita quotidiana e gli haiku che in molti scrivono su azioni o scene di vita quotidiana ma che, a differenza del Maestro Shiki, di poetico hanno ben poco o nulla.
Un esempio di un haiku di Shiki in cui è presente il concetto di shasei:
villaggio di pescatori:
al chiaro di luna si balla
nel profumo del pesce crudo
Altro punto importante su cui soffermarci per cercare di comprendere lo spirito dello haiku è che questo non può assolutamente trascendere il “kikan”, il binomio inscindibile Uomo/Natura. Un buon haiku porta con sé sempre un’attenzione al dato naturalistico, questo perché il kigo è il centro di un componimento haiku in quanto su di esso convergono emozioni e sentimenti sottostanti (hon’i, i.e. “significato originario”) all’immagine naturalistica proposta, cosa che molto di rado troviamo espressa in maniera diretta in uno haiku. Uno scritto in 5/7/5 sillabe che non tenga conto del kikan e dello hon’i resterà sempre un mero componimento in metro e mai un vero e autentico haiku.
Esempi di haiku del Maestro Issa che hanno in sé lo spirito dello haiku:
usignolo di fiume:
sui petali di pruno pulisce
le zampe infangate
*
kaki di montagna –
è la madre a morderne
le parti aspre
CONCLUSIONI
Riscoprire il valore del non-detto, del qui ed ora è un sicuro modo per avvicinarsi allo spirito dello haiku ma non basta: scrivere un buon haiku che incarni in pieno lo spirito dello haiku non è affatto cosa facile né da poco. Non a caso il Maestro Basho ebbe a dire: “Chi nella propria vita riesce a scrivere cinque buoni haiku può considerarsi scrittore di haiku, chi ne riesce a scrivere dieci può dirsi Maestro di haiku”. Inoltre, mutuando un’espressione cara ai mistici occidentali, lo haijin deve essere consapevole che la media di un ottimo haiku è 1 su 1.000, 2 su 10.000!
Come abbiamo detto, formalmente un componimento haiku può avere in sé tutte le caratteristiche peculiari di questo genere poetico ma questo non significa che sia un buon haiku perché è proprio lo spirito dello haiku a fare la differenza. Bisogna vedere le cose in maniera diversa, cambiare prospettiva. Come ebbe a dire Basho al suo allievo Kikaku: “Hai il difetto di voler stupire. Cerchi versi splendidi per cose lontane, dovresti trovarli, invece, per le cose che ti sono vicine”. Intrecciato allo spirito dello haiku è il fatto di vedere lo straordinario nell’ordinarietà delle cose ed elevarlo a essere degno di valore di opera letteraria. Il Maestro Issa, ad esempio, nella sua vita scrisse oltre 20.000 haiku molti dei quali inerenti alle “piccole cose”, a quello che, in apparenza, era insignificante per i più ma certo non per lui. Sicuramente studiare i Maestri ha come diretta conseguenza quella di assorbire lentamente lo spirito dello haiku, lo spirito di un genere poetico unico al mondo e dalle potenzialità immense che può dirci ancora molto sulla Natura ma, soprattutto, su noi stessi.
(Antonio Sacco)ttps://lombradelleparole.wordpress.com/2018/09/28/antonio-sacco-lo-spirito-dello-haiku-maestro-basho-maestro-shiki-maestro-issa/
Bibliografia
– Sul vento che scorre – per una filosofia dello haiku, Kuki Shuzo; Ed. Il Melangolo
– Sull’haiku, Yves Bonnefoy; Ed. O Barra O Edizioni
– Lo spirito dello haiku, Torahiko Terada; Edizioni Lindau
– Centoundici haiku, Matsuo Basho; Ed. La vita felice
– Haiku. Il fiore della poesia giapponese da Basho all’Ottocento, a cura di Elena Dal Pra; Ed. Mondadori
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