“Appetricchio” (Fazi, 2023), secondo romanzo di Fabienne Agliardi presentato al Premio Strega 2024, è il racconto di un ritorno alle origini verso la Petricchio di ognuno di noi, verso quel «posto immaginifico escluso dalle mappe e fuori dalle rotte» in cui «abbiamo disegnato i nostri momenti felici»
"Petricchio esiste nella misura in cui vogliamo farlo esistere. Come il posto delle nostre estati da criaturi, ovunque esso sia. Da qualche parte c'è una Petricchio per tutti. Petricchio è mare, montagna, lago, campagna. E' Narnia, Rokovoko, Hogwarts...."
Un posto per cuori d’altri tempi, con il pisciaturo sotto il letto e il mattone nel panno. Da raggiungere in fretta e con i palpiti, per riprendersi le certezze lasciate l’anno prima. Fino a percepirlo distante, immutato e immutabile, come un fastidioso e anziano parente da andare a trovare per dovere.( p.17)
“Appetricchio” è un romanzo corale che racconta del ritorno della famiglia Bresciani a Petricchio nel marzo del 2020 e parla dei ricordi delle vacanze trascorse nel paesino della Basilicata tra gli anni Ottanta e gli anni Novanta.
Petricchio, un nome di fantasia diventato "Appetriccchio" a causa di raddoppio di consonante per evdenziare il moto a luogo, è un paesino di 25 abitanti, la metà dei quali sordomuti, che si chiamano quasi tutti Rocco, in onore del santo patrono. Arroccato sul fianco di un pianoro non lontano dal mare e collegato al mondo «laffòra» da un ponte malfermo che dagli anni Sessanta nessuno aveva più osato attraversare, come i nostri paesi del sud, aveva obbligato molti dei suoi abitanti ad emigrare senza più fare ritorno nel paese d’origine.
Ogni estate e ogni inverno, la famiglia Bresciani,(la madre Rosa, il marito Guidodario, farmacista bresciano soprannominato «’O Scienziato», e i figli Mapi e Lupo), percorreva l’asse autostradale Brescia-Petricchio lasciandosi prendere dall’«appetricchiamento, una malia di avviluppamento», agli usi e ai costumi, ai gesti e alle parole, ai sapori e ai profumi di una comunità fatta di abitanti molto stravaganti, ognuno con una propria storia.
La nonna Milù, che avrebbe voluto «sette maschi da far lavorare nei campi e invece s’era ritrovata con sette femmine a cui preparare la dote», Adelina, la misteriosa figlia di Rocco Poeta arrivata a Petricchio dall’Argentina, il Greco, che si era finto morto per sfuggire alla guerra, Marisella, con la sua casa traboccante di oggetti strampalati, e ancora Nonno Occhei, Rocco Ponte, gli zii Rocco Butteglia e Rocco Bidello, i cugini e le zie maritate.
La Fundana, «pensatoio a cielo aperto» e luogo da cui si scorge in lontananza il mare, è il luogo di ritrovo dei pochi abitanti del paese.
Mapi e Lupo osservano le vite semplici degli abitanti di Petricchio che si stupiscono per l’arrivo del telefono, si riuniscono davanti al «TV color Brionvega» per guardare i Mondiali del 1982, cercano di replicare la ricetta del celebre bussolà bresciano e si ingegnano a organizzare una memorabile festa di San Rocco con ospite Fausto Leali.
I gemelli Bresciani trascorrono le loro vacanze d’infanzia in questo borgo fino all’estate della loro maturità, quando un evento inaspettato li allontanerà dal paese. Solo l’arrivo del Covid e dell’imminente lockdown porterà la famiglia Bresciani a riunirsi in questo luogo carico di ricordi, sospeso tra la montagna e il mare.
La scrittrice utilizza una prosa dal lessico familiare con frequenti locuzioni dialettali appetricchiesi, rese comprensibili ai «lettori dell’Altitalia e dell’Ininsvizzera» da un ampio glossario in appendice. Questo rende il racconto più intimo e ci porta a ritornare alle nostre radici e ai ricordi d'infanzia. Ognuno di noi rivede il proprio paese della Basilicata. Forse la scrittrice ha esagerato con alcune note di arretratezza, negli anni 80/90 in tutte le abitazioni, anche al sud, c'era l'acqua in casa e il bagno. Anche la tragedia avvenuta nell'ultima estate trascorsa dalla famiglia Bresciani ad Appetricchio appare inverosimile.

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