Inno a Inanna – Il poema più antico del mondo scritto da Enheduanna “.Il suo nome significa sacerdotessa, ornamento del dio (o della dea)”, vissuta nel 2285-2250 a.C. circa. Era figlia del famoso re Sargon e della regina Tashlultum.
Figlia del re Sargon di Akkad, "re delle quattro parti", cioè re dell'intero mondo conosciuto, inviata a sud, nella magnifica città portuale di Ur, le venne conferito il titolo di En, "alta sacerdotessa" del dio Nanna, il dio della luna sumera, una divinità amata e potente. La sua nuova posizione conferisce a Enheduanna un'influenza senza precedenti. Nel corso degli anni vissuti nel complesso del tempio di Nanna, Enheduanna compone quarantadue inni, noti collettivamente come "Inni del Tempio". In essi, descrive le città in cui si ergono i grandi templi, i templi stessi e gli dei e le dee a cui sono dedicati. Il nome di Enheduanna è stato scoperto su due grandi sigilli del periodo di Sargon. Entrambi i manufatti sono stati trovati nella necropoli reale di Ur[Uruk, odierno Iraq]
Syusy recita l'Inno a Inanna, dal Poema più antico del mondo di Enheduanna
Inno a Inanna – Il poema più antico del mondo scritto da Enheduanna, Alta Sacerdotessa della Luna
Io, En-ḫedu-ana, reciterò una preghiera per te. A te, santa Inanna, darò libero sfogo alle mie lacrime come una birra dolce!
La dea, signora della sala del trono,
ha accettato la preghiera di Enheduanna.
Ella è ancora la prediletta di Inanna.
Questo giorno fu fausto per Enheduanna,
al quale ella si presentò vestita di fulgide gioie;
nella sua veste risplendeva di femminile bellezza.
Al pari del primo raggio di luna che ascende all’orizzonte:
come splendidamente ella era vestita!
Quando Nanna, il padre di Inanna, fece il suo ingresso,
tutto il palazzo benedisse Ningal, la madre di Inanna,
e dalle porte del cielo si levò alto l’Osanna.
[Da Inno a Inanna, XVII]
Rilievo Burney, l'Inanna alata - corrispondente alla dea assira Ishtar |
1. Regina di tutti i me, troppo numerosi per tenerne il conto,
Inno di Enheduanna-Tavoletta YBC-7169 |
La poesia di Enheduanna
Il suo modo di scrivere è molto personale e diretto. Le sue composizioni fanno rivivere le principali divinità mesopotamiche e indicano dove si trovano i loro templi, ma sono soprattutto preghiere che emanano umanità, parlano di speranza e narrano dei timori della vita di ogni giorno. Enheduanna restò sacerdotessa per oltre quarant’anni. Sargon ripose grande fiducia in sua figlia, affidandole il compito delicato di fondere le credenze religiose e le divinità dei Sumeri con quelle degli Accadici, in modo da dare la necessaria stabilità interna al suo regno.
Le composizioni religiose di Enheduanna, attraverso i Babilonesi, hanno influenzato e ispirato le preghiere e i Salmi della Bibbia ebraica e gli inni omerici della Grecia. In queste composizioni, seppure debole, sopravvivono gli echi dell’arte di questa donna straordinaria. E’ difficile stabilire quali siano le opere che si ritengono ispirate da Enheduanna e quali siano, al di là delle opere citata, quelle scritte da lei. Molte composizioni sono datate a centinaia di anni dopo la sua morte.
Probabilmente Enheduanna usava esibirsi e recitare le sue poesie durante i rituali sacri. Non si tratta di una figura leggendaria: Enheduanna è realmente esistita e la sua esistenza è stata confermata dai suoi scritti, anche se non si conoscono le vicende della sua vita e quando sia morta.
Al giorno d’oggi il suo nome sembra essere stato dimenticato. Non si sono avute più scoperte legate alla sua storia, dopo il ritrovamento del disco di alabastro, scoperto dall’archeologo inglese Sir Leonard Woolley nel 1928. Resta il fatto che Enheduanna è una delle rare poetesse che, accanto alla greca Saffo, ha avuto un grande impatto sulla cultura e la poesia di tutti i tempi. Dopo più di 4000 anni Enheduanna è ancora fonte di ispirazione per scrittori contemporanei che compongono poesie rifacendosi al suo stile.
Si tratta di poemi di magistrale bellezza (che si trovano pubblicati, ad esempio, dalla Venexia editore), importanti anche perché considerati da studiose/i di varie nazionalità “il primo resoconto scritto della coscienza di un individuo sulla propria vita interiore”. Nella fattispecie un’individua, che canta la sua dea, riconoscendo ad essa il ruolo di archetipo femminile, in quanto le appartengono sia elementi divini che terrestri, e pertanto può essere celebrata anche come rappresentazione del potenziale femminile, di cui Enhuanna dimostra di avere piena consapevolezza.
Attraverso la lingua della devozione, espressa in poesia, la sacerdotessa-poeta celebra contemporaneamente la propria liberazione – spirituale e psicologica – dal ruolo di figlia obbediente da un padre molto autorevole. Infatti Enheuanna è figlia di Sargon di Akkad, ma sceglie di scrivere in lingua sumerica – nonostante l’accadico fosse la lingua della famiglia e la lingua ufficiale dell’impero del padre – attribuendo alla scelta delle parole con cui dire e dirsi la via maestra della propria autodeterminazione come donna.
La forza di questa antichissima madre, pur nascosta dentro l’oblio che molte vicende del passato subiscono – se non per certi interessi di nicchia, se così si può dire, che periodicamente li riportano alla luce dello scambio culturale e del confronto – ha “lavorato” nel corso delle genealogie fino a improntare di sé i versi di più giovani discendenti di quell’antica cultura, che oggi deperisce sotto la barbarie della violenza, ma che affida ancora alla voce poetica di donne la sua ispirazione millenaria.
Tre poesie per omaggiare la poetessa
Propongo alla lettura alcuni testi che mi hanno molto colpito e che riguardano Enheduanna. Sono tratti da Non ho peccato abbastanza. Antologia di poetesse arabe contemporanee, a cura di Valentina Colombo (Mondadori, 2007).
Enheduanna e Goethe
Siamo diversi:
tu hai pensato e poi scritto i tuoi versi,
io ho dato vita alle mie poesie,
poi ho espresso il mio pensiero.
Perché mi biasimi quando chiamo a raccolta
le schiere di amanti ed esiliati
nel cimitero dei giorni?
Hai risvegliato donne che ho rinchiuso nelle prigioni dell’inferno.
Occidente, sono perniciosa…
Nessuna pietà nel mio cuore.
Ma sono la sacerdotessa dell’immenso dolore,
trascino via la tua terra dalle reti delle parole
mentre tu mi trascini al tuo Divano occidentale-orientale.
Siamo entrambi equilibristi sulla stessa corda
anche se destinati a due abissi diversi.
Spalanco le finestre delle tue parole,
trovo la mia bara nelle tue elegie,
esiliata, abbandonata da un Oriente distante.
I miei anni sono destrieri feriti dalle tue lance…
Non smettono di nitrire.
Straniera in casa tua
ma a casa mia
sovrana del lamento.
Oriente, che cosa mi hai fatto?
Ti ho amato, ma mi hai portato solo vergogna.
Mi hai sfigurata come un esercito di cieche Shahrazad,
hai superato ogni limite danzando sul mio corpo,
mi hai nutrita del desiderio delle stelle
nei rapidi istanti del fulmine…
ma tutto ciò da dietro un velo.[Amal al-Juburi (1967) Iraq]
Sono una donna
Nessuno può immaginare
[Joumana Haddad (1970) Libano]
quel che dico quando me ne sto in silenzio
chi vedo quando chiudo gli occhi
come vengo sospinta quando vengo sospinta
cosa cerco quando lascio libere le mani.
Nessuno, nessuno sa
quando ho fame quando parto
quando cammino e quando mi perdo,
e nessuno sa
che per me andare è ritornare
e ritornare è indietreggiare,
che la mia debolezza è una maschera
e la mia forza è una maschera,
e quel che seguirà è una tempesta.
Credono di sapere
e io glielo lascio credere
e io avvengo.
Hanno costruito per me una gabbia affinché la mia libertà
fosse una loro concessione
e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
La mia prigione è la mia volontà!
La chiave della mia prigione è la loro lingua
ma la loro lingua si avvinghia intorno alle dita del mio
desiderio
e il mio desiderio non riusciranno mai a domare.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo.
Donna d’acqua
Testo a cura di Silvana SonnoL’acqua non è scivolata verso di noi
ardendo con la violenza della sete.
Perché l’acqua segue le mie tracce
dimentica dei sui canali
e delle pianure alluvionali?
Perché non poggio il mio viso
sull’orlo dell’acqua
per sapere
come ha potuto nasconderci il suo colore,
come le abbiamo fatto perdere l’odore?
Perché non divento il segreto dell’acqua?
Perché non divento femmina per il suo maschio,
e lo aspetto nella caraffa
fino al sopraggiungere dell’estate?[Amal Musa (1971) Tunisi]
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