domenica 27 novembre 2022

25 Novembre, celebrazione della Giornata Internazionale per l'Eliminazione della Violenza contro le Donne

 


Questa Giornata è stata celebrata in Craft Wordl nell'ambito del progetto +Donna Zero Violenza, dove per  tutto l'anno vengono organizzate iniziative a tutela dei diritti delle donne e dei diritti umani in generale. Il tema trattato: "Donne in guerra".

Questa ricorrenza voluta dalle Nazioni Unite, che l’ha istituzionalizzata il 17 dicembre 1999 con una risoluzione, la 54/134, dove si definisce questa violenza «una delle violazioni dei diritti umani più diffuse, persistenti e devastanti che, ad oggi, non viene denunciata, a causa dell’impunità, del silenzio, della stigmatizzazione e della vergogna che la caratterizzano».
Secondo l’Articolo 1 della Dichiarazione sull’Eliminazione della Violenza contro le Donne, emanata dall’Assemblea Generale nel 1993, la violenza contro le donne è «Qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata». Nella stessa dichiarazione si riconosce la matrice storica, sociale e culturale della violenza di genere.
La data di questa giornata segna anche l'inizio dei "16 giorni di attivismo contro la violenza di genere" che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre di ogni anno, promossi nel 1991 dal Center for Women's Global Leadership (CWGL) e sostenuti dalle Nazioni Unite, per sottolineare che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani.
In molti paesi, come l'Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L'idea è nata da un'installazionedell'artista messicana Elina Chauvet, Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez, e ispirata all'omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città di frontiera nel nord del Messico, nodo del mercato della droga e degli esseri umani. L'installazione è stata replicata successivamente in moltissimi paesi del mondo, fra cui l'Italia.

L'intervento di Lorenza Colicigno:

Buonasera, sono Lorenza Colicigno e faccio parte dalla sua fondazione in Craft del gruppo + Donne Zero Violenza. Ecco alcune mie riflessioni introduttive sul tema Donne in guerra. Parlare di Donne in guerra significa affrontare una tematica molto ampia e complessa, come donne in guerra con se stesse, donne in guerra contro le donne, donne in teatri di guerra, cui corrispondono gli auspicabili opposti: donne in pace con se stesse, donne  in pace con le altre donne, donne in pace contro la guerra.
Per chi ha letto Donne in guerra (1999) di Dacia Maraini, è chiaro il concetto di guerra con se stesse e contro se stesse, che è un porsi in bilico tra accettazione dei vincoli famigliari e sociali e ribellione ad essi. Leggere Una donna di Sibilla Aleramo (romanzo autobiografico del 1916) e anche Ragazze da Marito di Carolina Rispoli (1919) è molto importante per capire da dove veniamo, per capire la persistenza di stereotipi e limiti sociali, ma anche quanto cammino è stato percorso, fino a riuscire ad essere in pace con se stesse, perché in pace con le figure familiari dominanti, con il padre e/o la madre. Tema affrontato dalla premio Nobel per la letteratura Anne Ernaux in Una Donna (2018), in particolare in relazione alla figura della madre. Un testo in cui possiamo ritrovare molto di noi stesse.
Il tema donne in guerra è per noi particolarmente sensibile in questo giorno dedicato all’eliminazione della violenza contro le donne. E’ questa una guerra contro le regole che patriarcato e maschilismo impongono, ma di fatto imposte dalla società nel suo complesso, fino alla demolizione psicologica e all’eliminazione fisica delle donne. Ma anche questo aspetto rivela una forte contraddizione, ed è l’atteggiamento “contro” la donna delle figure femminili famigliari e amicali e, purtroppo, anche di ruolo, poliziotte, assistenti sociali, giudici. Il “non essere creduta”, condizione che impedisce di prendere coscienza della propria situazione di donna maltrattata e di uscirne, si verifica prima di ogni cosa da parte delle donne della famiglia, troppo spesso condizionate da un falso senso dell’onore e del ruolo tradizionale della dedizione ai doveri familiari.
Non c’è tema più difficile per  una donna che accettare che esista una guerra delle donne contro le  donne. Potrebbe essere utile leggere " Donna contro donna. Rivalità, invidia e cattiveria nel mondo femminile, di Phyllis Chesler, Mondadori 2003. Chesler scrive: "Vorrei far capire alle donne che, nonostante i vincoli d'amore e di fiducia che ci legano, collettivamente siamo poco umane, talvolta persino crudeli e sadiche le une con le altre e che questa crudeltà è potente, dolorosa, paralizzante. Dare un nome a tutto ciò, riconoscerlo, significa compiere il primo passo verso il cambiamento.”
C’è poi il tema che abbiamo scelto di focalizzare stasera, quello delle donne nei teatri di guerra che coinvolgono i loro Paesi. E anche qui possiamo individuare un doppio atteggiamento: le donne guerreggianti, da un lato, le donne pacifiste, dall’altro.
La prima guerra mondiale, ad esempio, vede le donne coinvolte soprattutto in ruoli di supporto, infermiere al fronte, vivandiere, supplenti dei ruoli dei mariti o padri per dedizione alla patria, la seconda guerra mondiale vede le Resistenti al fascismo impegnate accanto agli uomini anche in posti di comando. Oggi è frequente la scelta di molte donne di intraprendere la carriera militare e di andare sui fronti di guerra a combattere.
Svetlana Aleksievic, premio Nobel per la letteratura nel 2016,  in  La guerra non ha un volto di donna (2015) sottolinea che anche quando una donna combatte come un uomo, qui si parla delle donne sovietiche nella seconda guerra mondiale, hanno comunque un sguardo diverso:
 “La guerra per le donne è un’altra cosa rispetto ai maschi. Mi hanno colpito le parole di una ex soldatessa sovietica che dopo una battaglia è andata a vedere il campo dove giacevano i morti e i feriti. Diceva: c’erano ragazzi, bei giovani, russi e tedeschi, mi dispiaceva ugualmente per tutti quanti. La morte e il dolore non conoscono differenze tra gli esseri umani. Ma lo sanno solo le donne. Un maschio raramente ragiona in simili termini. Le donne sono legate all’atto di nascita, alla vita. Gli uomini invece sono lontani dalla vita.” (Da  “D”  La Repubblica 23 aprile 2016 - Intervista a S. Aleksievic, Nobel per la letteratura).
E’  in corrispondenza con la I guerra mondiale che nascono i primi movimenti pacifisti delle donne. le prime guerre delle donne contro tutte le guerre vanno di pari passo con la nascita dei movimenti per i diritti delle donne. Bellissimi i testi delle poete che in piena prima guerra mondiale non riescono a vedere altro nella guerra che sangue e morte. Come nella poesia di Margaret Sackville che ascolterete stasera.
Un’ultima riflessione, prima di iniziare il reading, riflessione che parte dalle affermazioni di Bruna Bianchi e Maria Grazia Suriano: “Le donne dicono no alla mentalità stessa che porta alle guerre, alla sopraffazione, all’oppressione, a partire da quella sulle donne e mostrano il forte intreccio fra militarismo e sessismo. E’ proprio delle donne l’idea di un mondo pacifico che si fondi sulla cooperazione anziché sulla competizione, sulla convivenza anziché sul dominio, sulla cura di ogni essere vivente e della Terra anziché sul loro sfruttamento e distruzione, sull’uguaglianza anziché sulla gerarchia, sulla necessità del disarmo anziché sulla corsa agli armamenti come effetto deterrente. Le donne sono state e sono le costruttrici di pace più efficaci, ma purtroppo inascoltate e oscurate.”
E questa è una storia ancora tutta da scoprire e da scrivere

"Stanca di guerra" di Lella Costa - legge Fiona Saiman

E io che faccia faccio? Che faccia si può fare o forse che faccia si deve fare quando si prova ad affrontare un argomento così grande e terribile come la guerra? Che poi non si sa neanche bene dove, come, quando, perché sia cominciata. No, non è vero, in realtà questo un po’ si sa. Anzi, forse all’inizio è stata anche una faccenda relativamente semplice, una roba tipo: "Tu hai la caverna più calda, la donna più pelosa, la ruota più rotonda. Io ho la clava più grossa". E felicemente ignara della simbologia: "Te la spacco sulla testa, così mi prendo quello che mi piace". Rozzo, ma mica poi tanto. Forse il significato vero, l’essenza della guerra sta proprio tutto qui, visto che alcuni millenni dopo un teorico della guerra, un signore che si chiamava von Clausewitz – nella sua vita si è occupato solo e soltanto di guerra, ha scritto un unico libro intitolato Della guerra, un maniaco –, ha definito la guerra "un atto di violenza attraverso il quale costringiamo il nemico a fare la nostra volontà"; quindi colpi di armi sempre più precise, letali, raffinate. Poi gli uomini hanno cominciato ad aggregarsi, a mettersi insieme per poter fare meglio la guerra e sono intervenuti gli dèi che mandavano gli uomini a fare la guerra per loro conto e in loro nome, e a un certo punto gli uomini hanno cominciato addirittura a spostarsi per fare la guerra, non più soltanto vicino a casa o nei territori confinanti. No, partivano, andavano lontano apposta per farla, lasciavano a casa moglie e figli e dicevano: "Scusa cara, devo andare in guerra". Probabilmente prima di uscire a comprare le sigarette avevano quella scusa lì; si facevano incidere sullo scudo "nuoce gravemente alla salute" – dagli torto – e andavano. E che cosa fa un uomo che arriva in un territorio, in un paese che gli è totalmente estraneo? Probabilmente cerca di renderselo amichevole, quindi cerca di renderlo il più possibile simile al luogo da cui lui proviene. Forse da queste prime esperienze di guerre itineranti sono nati anche i primi concetti di patria, di appartenenza, di identità nazionale, di colonie, di confini e poi... e poi i monumenti ai caduti. Che basterebbe vedere quanto son brutti loro, per capire quanto è brutta la guerra. I monumenti ai caduti son brutti per definizione, vengon fuori male comunque, e a volte fanno anche involontariamente ridere. Per esempio, in provincia di Pisa c’è un paese che si chiama Calci. Sul monumento c’è scritto: "Calci ai suoi caduti". Vergogna.
A volte si può perfino ridere, sorridere della guerra; sì, perché a volte la guerra è paradossale, grottesca, assurda, contraddittoria. Per esempio, in diverse fasi della storia dell’umanità si sono affermate delle religioni fondamentali, importantissime, che ponevano come principio irrinunciabile l’opposizione a qualunque forma di guerra e di violenza. Bene, nel nome di quelle stesse religioni si sono fatte e si continuano a fare delle guerre spaventose. Sembra sempre che ci sia qualcosa per cui è indispensabile farla, la guerra, che sia la libertà, la giustizia, l’onore, le proprie idee. E poi, qua e là nel mondo, qualcuno ha cominciato a rendersi conto che non si poteva andare avanti così, perché gli orrori della guerra diventavano sempre più orrori, ma non se ne veniva a capo e quindi bisognava smettere; e allora è cominciata la denuncia contro la guerra fatta più che altro di dati, di cifre, di elenchi: gli elenchi delle vittime, dei deportati, degli internati, dei torturati, delle nefandezze della guerra, elenchi che andavano continuamente aggiornati con notizie di prima mano per cui: alé, cronisti di guerra mandati al fronte – moglie e figli sempre a casa ad aspettare – e poi interviste sui campi di battaglia, diari dei soldati in trincea, fotografie della guerra, telecamere sulla guerra, cineprese sulla guerra, la fiction sulla guerra... Però niente di tutto questo è servito a farla finire la guerra, anzi, sembra quasi che più tu la descrivi e più lei prolifera – verbo che non a caso si usa solo per certi virus tremendi e per la guerra. E allora che cosa c’è dentro la guerra, che la rende così terribile ma anche invincibile e insieme affascinante. E noi con che faccia possiamo pensare di guardare, capire, raccontare la guerra, la guerra che poi c’è. Io che faccia devo fare davanti ai reportage di guerra dei telegiornali, con che faccia posso guardare le foto di guerra pubblicate dai quotidiani. Che faccia devo fare? Che faccia fare? Che faccia fare?

 The Pageant of the war ( Il corteo di guerra)- Margaret Sackville - read by Fiona Saiman

E da in fondo alla strada, e da in fondo alla strada deserta
Udii il suono lento, monotono, pesante
Di milioni e milioni di piedi in marcia.
E vidi anche il bianco abbacinante
Della lunga strada alla luce del sole,
E mi domandai cosa l’avesse resa tanto bianca.
Poi attraverso il fragore
Di trombe, corni, proclamanti il suo nome,
Giunse la Guerra [...]
Come la Morte, cavalcava
Un cavallo pallido e agitato,
Ma oscillava di qua e di là,
Come chi è del tutto satollo;
Palpebre pesanti
E occhi sporgenti, vitrei d’orgoglio;
Nessuna traccia
Di riso, lacrime o pietà
Nel viso gonfio segnato dalle vene,
E così per forza
Doveva portare una maschera, per paura che a vedere
Il volto osceno troppo da vicino,
Il cuore di ogni essere umano
Si sarebbe colmato d’odio e di paura,
Ribellandosi e uccidendola.
Guardai ancora le pietre bianche;
Vidi.
La polvere erano ossa calpestate.
Loro rendevano la strada così bianca.
C’erano ossa di bambini, ossa di uomini,
Calpestate fin dall’inizio del mondo,
Strada di trionfo – strada di gloria! –
Questa strada ideata dall’uomo e poi
Costruita sulle rovine dell’uomo.
Strada che ogni paese ha percorso
Dall’inizio della propria storia,
E chiamata talvolta la strada di Dio;
Strada delle moltitudini votate a stupro,
Distruzione, mutilazione, ira,
Poiché non c’era via di fuga,
E unica loro via era questa strada!
Ecco! Dall’inizio del mondo
Questa fulgida strada – regalo dell’uomo all’uomo

 

1 commento:

  1. Come stavo dicendo, sul mio blog, con un'amica, il problema è che i governi non stanno dando la giusta attenzione a questo problema.
    Ti abbraccio.

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