venerdì 30 settembre 2022

Ricordando Pier Paolo Pasolini nel Centenario della nascita

 


E' stata una serata letteraria molto interessante, perciò ho voluto fare un copia-incolla dalla notecard per potermi rileggere tutto quanto e condividerlo.

Dalla serata letteraria in Craft Wordl-NoiLab del 29 settembre

Di Lorenza  Colicigno
Buonasera a tutti, ricordiamo stasera in Craft Pier Paolo Pasolini nel Centenario della nascita, leggendo passi dalle sue opere e da "Scritti su Pasolini", curatori Novella Capoluongo e Gianfranco Blasi alias Gianfra Mitico.
Pier Paolo Pasolini (Bologna, 5 marzo 1922 – Ostia, 2 novembre 1975), poeta, scrittore, regista, sceneggiatore, pittore, romanziere, linguista, traduttore e saggista, attore e drammaturgo italiano, è tra i maggiori intellettuali italiani del Novecento; si distingue tra di essi per la impossibilità di contenerlo in confini ideologici e letterari, per la sua versatilità e per il suo amore per la verità, soprattutto intesa come lettura della realtà attraverso il suo sguardo critico verso tutto e tutti. Proprio la sua attenta osservazione, mai neutra, dei cambiamenti della società italiana dal secondo dopoguerra sino alla metà degli anni settanta, ci consentono, oggi, di comprendere meglio le contraddizioni di quegli anni, le cui istanze e le cui conseguenze sono ben visibili oggi. La sua dichiarata omosessualità e la sua fine tragica hanno focalizzato l’attenzione pubblica sulla sua vita privata, in qualche modo condizionando anche l’interpretazione e la comprensione della portata storica della sua riflessione sul mondo e della sua immensa produzione letteraria. Ringrazio Emil Jannings, che in IM in Craft ha voluto indicarmi un interessante sito americano che sta celebrando il Centenario di Pasolini a Chicago, con un logo di straordinaria sintesi: poetry, passion and provocation. A voi tutti un grazie per essere qui ad una serata letteraria nella quale ho voluto dare spazio ad una prospettiva di lettura inconsueta, cioè quella che vede Pasolini legato alla musica, che sia classica, che sia leggera, sempre autoriale, e ballerino provetto nelle balere friulane. Nella notecard inserita nel libro accanto al divano dei relatori trovate notizie utili sull'autore, non mi dilungo, quindi, e passo la parola a Gianfranco Blasi, non senza aver ringraziato prima Tonino Lane per l'organizzazione, Rosanna Galvani, fiona saiman, Laura Antichi, Luciana Mattei, Eva Kraai, Sergeji Zarf per le letture e Rubin Mayo per lo streaming delle letture e per la diretta dell'evento, e ovviamente il nostro ospite Gianfranco Blasi.

Fin dagli esordî in friulano, che comprendono Poesie a Casarsa (1942) e La meglio gioventù (1954; poi ripreso con intenti diversi e notevole incremento di testi: La nuova gioventù, 1975), ben oltre la nozione ermetica di poesia pura, il giovane P. puntava alla scoperta di una lingua intatta, che fosse quasi un equivalente letterario del suo religioso desiderio di purezza (fonderà così nel 1945 l'Academiuta di lenga furlana). Il suo interesse per la poesia dialettale trovò espressione in due importanti antologie: Poesia dialettale del Novecento (in collab. con M. Dell'Arco, 1952) e Canzoniere italiano. Antologia della poesia popolare (1955; poi, in versione ridotta: La poesia popolare italiana, 1960); mentre il suo talento di critico letterario, affascinato più dai modelli della critica stilistica (Auerbach, Spitzer, Contini) che dal sociologismo marxista d'ispirazione gramsciana, si esplicò in una serie di interventi sulla letteratura contemporanea, e soprattutto sulla poesia, che sarebbero confluiti in Passione e ideologia (1960). Gli anni Cinquanta furono gli anni della sua completa affermazione letteraria. La sua prima notevole raccolta di poesie in lingua, Le ceneri di Gramsci (1957), sembra chiudere definitivamente una stagione della poesia italiana. L'ansia profetica dell'Usignolo della chiesa cattolica (pubbl. nel 1958, ma composto prima del trasferimento a Roma) si sarebbe riproposta, dopo la parentesi decisiva delle Ceneri, nei termini mutati di un'ininterrotta controversia (La religione del mio tempo, 1961; Poesia in forma di rosa, 1964; Trasumanar e organizzar, 1971). P. fondava, intanto, insieme a F. Leonetti e R. Roversi, Officina, la rivista della polemica antinovecentesca; era anche diventato condirettore di Nuovi argomenti, rivista fondata nel 1953 da A. Moravia e A. Carocci. E aveva dovuto affrontare difficoltà molto più gravi dopo la pubblicazione dei suoi due romanzi d'ambientazione romana: Ragazzi di vita (1955), per il quale dovette subire un processo per oscenità, e Una vita violenta (1959), che era stato accolto freddamente tanto dalla critica marxista quanto dai giovani critici della neoavanguardia. Ma la vocazione di P., già insofferente dei limiti di un genere letterario, si era orientata verso altri mezzi d'espressione: il cinema (v. oltre), del quale si sarebbe poi occupato anche in veste di teorico, il teatro (Orgia, 1968; Affabulazione, 1969; Calderón, 1973) e il giornalismo (soprattutto, dal 1973, le collaborazioni al Corriere della sera, poi raccolte con altre in Scritti corsari, 1975). In ritardo rispetto alla data di composizione, erano intanto apparsi il romanzo Il sogno di una cosa (1962) e le prose narrative di Alì dagli occhi azzurri (1965), oltre a vari scritti minori. Postume, in ordine sparso, sono uscite raccolte di scritti giornalistici (Lettere luterane, 1976; Le belle bandiere, 1977; Il caos, 1979), di critica letteraria (Descrizioni di descrizioni, 1979; Il portico della morte, 1988), opere narrative (La divina mimesis, 1975; Amado mio, 1982; Petrolio, 1992, romanzo incompiuto che riassume e porta a livello di quasi insostenibile incandescenza tutti i temi dello scrittore), nonché le raccolte complete dei suoi testi teatrali (Teatro, 1988) e poetici (Bestemmia. Tutte le poesie, 1993). Diversi scritti appartenenti alla fervida stagione friulana del poeta sono stati raccolti dal cugino N. Naldini in Un paese di temporali e di primule (1993) e in Romàns (1994); per sua cura sono anche apparse le Lettere 1940-1954 (1986) e le Lettere 1955-1975 (1988). Tutte le opere di P. sono state raccolte nell'edizione diretta da W. Siti (10 tomi, 1998-2003).

Nel cinema P. operò a partire dal 1954, come sceneggiatore (con M. Soldati, La donna del fiume; con F. Fellini, Le notti di Cabiria; con M. Bolognini, Marisa la civetta, Giovani mariti, La notte brava, Il bell'Antonio, La giornata balorda; e, fra i tanti, con B. Bertolucci, La commare secca, autore anche del soggetto). P. dapprima trasferì i frutti della sua ricerca narrativa (Accattone, 1961; Mamma Roma, 1962; La ricotta, episodio del film collettivo Ro.Go.Pa.G., 1963, condannato per vilipendio alla religione di stato), reinventando un linguaggio cinematografico autonomo di alta qualità figurativa (P. era stato allievo di R. Longhi a Bologna). Il linguaggio di P. approdò a risultati più compiuti ne Il Vangelo secondo Matteo (1964), in cui l'armonica fusione del cinema con la letteratura, la pittura e la musica diede l'avvio a quel "cinema di poesia" di cui P. doveva essere in Italia uno dei più convincenti teorici (Il cinema di poesia, 1965; Osservazioni sul piano sequenza, 1967; Empirismo eretico, 1972). Su questa linea, i film che seguirono, soprattutto Edipo re (1967), Teorema (1968) e Medea (1969), accesi da un realismo visionario che, nonostante scarti e manifeste libertà, sorregge poi anche gl'impegni drammatici e linguistici dei film della "trilogia della vita" (o, come altri l'hanno definita, "dell'Eros"), partiti alla riscoperta del sesso attraverso una rilettura delle fonti della grande favolistica mondiale: Decameron (1971), I racconti di Canterbury (1972), Il fiore delle Mille e una Notte (1974). L'ultimo film, uscito postumo, Salò o le 120 giornate di Sodoma (1976), luttuosa metafora del potere e interpretazione in chiave provocatoria del libro omonimo di Sade. Non vanno dimenticati Che cosa sono le nuvole? (dal film collettivo Capriccio all'italiana, 1968) e Porcile (1969). Rimane un grande esempio del cinema d'inchiesta Comizi d'amore (1965), indagine sulla sessualità nell'Italia dei primi anni Sessanta, condotta da P. insieme a Moravia e Musatti. Esemplare parabola della storia d'Italia, dalla predicazione francescana ai funerali di Togliatti, è Uccellacci e uccellini (1966), ultima "legenda aurea" della civiltà italiana.

Pasolini e il Novecento. - L'edizione delle Opere di Pasolini colloca la sua opera tra i classici del secondo Novecento. E a ragione, poiché solo Pasolini (come D'Annunzio e più di Pirandello) ha sperimentato tutti i generi della creazione del 20° secolo: romanzo e novella, teatro e cinema, critica letteraria e saggistica politica, e non meno la poesia. Già questa semplice ragione di "generi" crea un singolare accostamento: D'Annunzio, Pirandello, Pasolini, un essere nel proprio tempo, nel quale la retorica - strumento dell'argomentare, del persuadere, dell'insegnare, leva essenziale di ogni "passione e ideologia" - è esibita, non velata, non nascosta, non lenita da strumenti di "sordina". Sì che non pare ardito oggi dire che Pasolini è stato per l'ultimo Novecento il rovesciamento speculare di quello che fu D'Annunzio all'ouverture del 20° secolo: là fu la parola chiamata a colmare le lacune del tempo, parola di gloria (e di lusso vitale dell'io), qui la parola della negazione, dell'abiezione, dei margini prossimi al niente: "i segni del desiderio di morire, / le occhiaie del vile, / il mento del debole, / … / le scarpe dello statale, / il culo del soldato semplice, / la calvizie del disadattato, / la schiena del condannato a morte" (Il dolore dei poeti, da Poesie marxiste, 1964-65). L'Italia repubblicana trova così oggi due emblemi nobili della propria identità: da una parte Calvino, la ragione e l'utopia, la trasparenza e la levità, l'Italia dell'Ariosto e di Galileo; dall'altra Pasolini, l'Italia di Jacopone e di Belli, di Gioacchino da Fiore e di Gadda: stracci e apocalissi. Una civiltà magmatica - il dialetto friulano e Dante, i tragici greci e gli Evangeli, il sottoproletariato e la Nuova Guinea - ma non più e soltanto latina: Pasolini sa partire da Alba pratalia, alba pratalia delle nostre origini e arrivare alla lugubre Nuova Preistoria che viviamo, alla profezia degli ultimi: "La Negritudine, dico, che sarà ragione". In certo modo - come lucidamente hanno osservato Calvino e Barthes per l'utopia di Fourier - il profetismo pasoliniano si sbilancia oltre la rasserenata compiutezza delle ideologie: supera ogni finalismo della storia prevedendo la fine della storia, e intanto della propria. Nessun altro poeta come Pasolini ha messo in scena, costantemente provandola e riprovandola in parole come sarà nei fatti, la propria morte: "Stesura in 'cursus' di linguaggio 'gergale' corrente, dell'antefatto: Fiumicino, il vecchio castello e una prima idea vera della morte: […] - sono come un gatto bruciato vivo, / Pestato dal copertone di un autotreno" (Una disperata vitalità). Un Pasolini che incarna in sé, come scriverà, il destino di Cassandra: "Basti pensare a una figura come quella di Cassandra, che prevede, anzi vede fisicamente la propria morte" (Nota per l'ambientazione dell'Orestiade in Africa). Una lettura della storia dell'Italia unita, tutta incentrata sulle identità popolari: il cristianesimo e il marxismo; il pensiero laico-liberale, stendardo della borghesia, non fu mai una vera alternativa, ma parve a Pasolini la continuazione del Potere, non la plenitudine della Verità: "Quelli di voi che possiedono un cuore / votato alla maledetta lucidità, / vadano nei laboratori, nelle scuole, / a ricordare che nulla in questi anni ha / mutato la qualità del conoscere, eterno pretesto, / forma utile e dolce del Potere, NON MAI VERITÀ. // […] Vadano, tanto per cominciare, dai Crespi, dagli Agnelli, / dai Valletta, dai potenti delle Società / che hanno portato l'Europa sulle rive del Po: // è giunta per ognuno di loro l'ora che non ha / proporzione con quanto ebbe e quanto odiò" (Vittoria). Erano gli anni di Barbiana e tra poco di Lettera a una professoressa, l'utopia di un'eguaglianza fatta non per accumulo (produzione e consumo: la vagheggiata affluent society), ma per condivisione dell'essenziale: l'Italia di Pasolini e don Milani, Danilo Dolci e padre Turoldo, e anche - sia non indebito il paragone - dei papi veneti del Concilio, papi degli umili. Quella via, via di parola e di pane, di poveri e giustizia, fu l'orizzonte scomodo di Pier Paolo Pasolini: "Ma nei rifiuti del mondo, nasce / un nuovo mondo […] / la loro speranza nel non avere speranza" (La religione del mio tempo, 4). Quella vita che non ha nient'altro, per sostenerla, che il suo consumarla, sacro deserto della fame, della manna, ove si attraversa - come Mosè, come Edipo - il miraggio, "sospinti dalla violenza del suo assillo". Così Pasolini ci ha rinnovato la biblica coscienza del sacro: quella coscienza - di Frazer e Cumont, di Caillois e di Deonna, ma anche di Bresson e di Tarkovskij - che "ciò che è sacro si conserva accanto alla sua nuova forma sconsacrata" (Medea).
(tratto da Enciclopedia Treccani)
Lorenza Colicigno è felice di far parte di questo libro "Scritti su Pasolini”, a cura di Novella Capoluongo e Gianfranco Blasi, dove insieme a 22 altri autori racconta Pasolini.
Questo l’indice del volume, che è disponibile in tutte le librerie, anche online.

 Presentazione del progetto e del libro: Novella Capoluongo Pinto
 Prefazione: Gianfranco Blasi
 Uccellacci e uccellini, una recensione: Edoardo Angrisani
 Il nuovo futuro, una poetica su Pasolini a Matera: Onofrio Arpino
 Il genio di Pasolini- Per me: il rinnovamento: Alberto Barra
 L’incontro con Ezra Pound- il poeta che sfidava il nulla: Gianfranco Blasi
 All’alba di una nuova primavera una poesia nascente: Gianfranco Blasi
 Il vangelo secondo Matteo- Una dedica poetica al “nostro”Pasolini: Carmen Cangi
 Pasolini, il dialetto come strumento poetico e politico
di redenzione popolare: Carmen Cangi
 Un indelebile ricordo: Il mio unico incontro con Pasolini: Novella Capoluongo Pinto
 Riflessione poetica: Novella Capoluongo Pinto
 Per Pier Paolo Pasolini: Echi di un dialogo perduto e ritrovato: Lorenza Colicigno
 Le cantine di Pasolini, la Natività e non solo: Emilio D'Andrea
 Tornare alla sua parola, Leggere e rileggere Pasolini: Lucia Di Tolla
 Pasolini per me: Lauramaria Fabiani
 Una domanda, una poesia: Lauramaria Fabiani
 Il firmamento nero vite: Andrea Galgano
 Pasolini e l’irrimediabile tenerezza: Andrea Galgano
 Noli me tangere: Ione Garrammone
 Idroscalo 1975: Ione Garrammone
 Adolescenza chiaroscurale: alcune note su Pasolini poeta: Donato Loscalzo
 Dove tu splendi: Maria Rosaria Macchia
 Intervista a Pasolini – Il colloquio che non ci fu: Francolando Marano
 Un incontro inconsueto: Così ho scoperto Pasolini: Yvette Marie Marchand
 Sì, credo sia opportuno parlare di lui ai ragazzi: Anna Maria Molinari
 Pasolini e la musica- Che cosa sono le canzoni? Un capriccio
all’italiana – Intervista possibile: Timisoara Pinto
 In morte di Pier Paolo Pasolini- Notte diversa per gente normale: Leonardo Pisani
 Canzone: Andrea Satta
 Una partita di pallone: Andrea Satta
 Una riflessione critica sul mediometraggio “La Ricotta”: Rocco Stella
 Pasolini: Bonaventura Giovanni Tancredi
 Il giorno dei morti ci lasciò: Bonaventura G. Tancredi
 Di notte: Bonaventura G. Tancredi
 Pasolini, poeta corsaro – Riflessioni: Stefano Zangheri

Ogni contributo è preceduto da un’immagine dipinta a colori da Alberto Barra e da una dedica scelta dai curatori.

Intervento di Gianfranco Blasi aka Gianfra Mitico

Pasolini, il profeta laico, l’intellettuale che leggeva le fratture sociali,
anticipandole, contrapponeva la realtà all'irrealtà: identificava la
realtà nella società rurale, nella civiltà contadina, perché era un
modo di vivere molto aderente alle cose concrete, alla natura, alla
terra, ai campi, agli animali. Mentre lui definiva "irrealtà" la nuova
civiltà industriale, perché era qualcosa di artificiale. Criticava il
consumismo che attraverso la televisione stava diventamdo
modello imperante. Chissà cosa avrebbe pensato di Internet e dei
Social. Forse la Rete è proprio l'esempio più eclatante dell'irrealtà,
perché uno dice: ho cento amici, ma chi sono questi amici? Si è
molto virtualizzata l'amicizia, i rapporti personali sono diventati
virtuali e quindi irreali. E quindi questa idea della virtualità, del mondo
industriale, oggi è ancora più evidente, forse nella Rete.

A 100 anni dalla sua nascita quali sono le intuizioni di Pasolini
che più ci appaiono profetiche?

Pasolini aveva la capacità di leggere il presente in profondità,
mettere in relazione con la storia, e dunque intuire la direzione del
cambiamento, dove sarebbero andate a finire le cose.
Una delle sue intuizioni più profetiche – volendo continuare ad
usare questo termine - è l'idea di quanto sia l'economia a decidere,
di quanto il potere più decisivo, più forte, quello che determina le
nostre vite, non è più la politica, e non è più la Chiesa (perché la
religione stava perdendo mordente sulla società italiana) ma è
l'economia.
In una famosa poesia scrive che la massa, non il popolo, si assesta
là dove il Nuovo Capitale vuole, dove il neocapitalismo decide. La
gente fa quello che stabilisce l'economia.
A livello inconscio, tramite la pubblicità per esempio, siamo indotti a
fare quello che l'industria ci comanda di fare, di comprare certi beni,
di sentirci inadeguati se non possediamo una certa automobile o un
certo capo di vestiario e così via. Se ci pensiamo, anche a livello
più generale, quante guerre sono decise dall'economia?
Cosa c'è oggi ancora da esplorare dell’enorme “continente”
Pasolini?

Quando ci mettiamo davanti a Pasolini abbiamo l'impressione di
avere a che fare con un classico, perché è ormai un autore
canonico, però è un classico non ingessato, non fisso, abbiamo
l'impressione che la sua opera sia ancora una sorta di cantiere
aperto. Proprio perché era un laboratorio in cui lui continuava a
tornare sui progetti, a rielaborarli, a rivederli, a riprenderli e così
via. Ecco Pasolini attraverso la sua opera ci consente di
riprogettare il futuro, di ripensarlo in chiave critica, in chiave poetica
e in chiave politica.

Talk by Gianfranco Blasi
Pier Paolo Pasolini, Poesie incivili (aprile 1960)
 
Frammento alla morte (Legge Laura Atichi)

Vengo da te e torno a te,
sentimento nato con la luce, col caldo,
battezzato quando il vagito era gioia,
riconosciuto in Pier Paolo
all'origine di una smaniosa epopea:
ho camminato alla luce della storia,
ma, sempre, il mio essere fu eroico,
sotto il tuo dominio, intimo pensiero.
Si coagulava nella tua scia di luce
nelle atroci sfiducie
della tua fiamma, ogni atto vero
del mondo, di quella
storia: e in essa si verificava intero,
vi perdeva la vita per riaverla:
e la vita era reale solo se bella...
 
La furia della confessione,
prima, poi la furia della chiarezza:
era da te che nasceva, ipocrita, oscuro
sentimento! E adesso,
accusino pure ogni mia passione,
m'infanghino, mi dicano informe, impuro
ossesso, dilettante, spergiuro:
tu mi isoli, mi dai la certezza della vita:
sono nel rogo, gioco la carta del fuoco,
e vinco, questo mio poco,
immenso bene, vinco quest'infinita,
misera mia pietà
che mi rende anche la giusta ira amica:
posso farlo, perché ti ho troppo patita!
 
Torno a te, come torna
un emigrato al suo paese e lo riscopre:
ho fatto fortuna (nell'intelletto)
e sono felice, proprio
com'ero un tempo, destituito di norma.
Una nera rabbia di poesia nel petto.
Una pazza vecchiaia di giovinetto.
Una volta la tua gioia era confusa
con il terrore, è vero, e ora
quasi con altra gioia,
livida, arida: la mia passione delusa.
Mi fai ora davvero paura,
perché mi sei davvero vicina, inclusa
nel mio stato di rabbia, di oscura
fame, di ansia quasi di nuova creatura.
 
Sono sano, come vuoi tu,
la nevrosi mi ramifica accanto,
l'esaurimento mi inaridisce, ma
non mi ha: al mio fianco
ride l'ultima luce di gioventù.
Ho avuto tutto quello che volevo, ormai:
sono anzi andato anche più in là
di certe speranze del mondo: svuotato,
eccoti lì, dentro di me, che empi
il mio tempo e i tempi.
Sono stato razionale e sono stato
irrazionale: fino in fondo.
E ora... ah, il deserto assordato
dal vento, lo stupendo e immondo
sole dell'Africa che illumina il mondo.
 
Africa! Unica mia
alternativa
Testi su Pasolini

da “Scritti su Pasolini”
Echi di un dialogo perduto e ritrovato
di Lorenza Colicigno (Legge Eva Kraai)

T'incontro a Matera, ogni volta al risuonare
del tuo nome - era il 1963 dei miei primi passi
nel mondo dell'etere - mi si svelarono,
avvicinandoti, la tua mitezza,
la tua capacità d'ascolto,
la tua autorevolezza conquistata
contro ogni barriera e confine.

Un'intervista tra una ripresa e l'altra.
Un dialogo dentro altri dialoghi.
Parole e immagini intrecciate agli affanni
dell'uno e dell'altra, mentre prendeva corpo
un Cristo fatto di carne e sangue,
un Cristo che abita Sassi e anime sole,
dimenticate, sospese dalla storia, ora
compagne rudi e tenere di un sacrificio
che ancora brucia. Un Cristo, un uomo,
un te stesso ficcato dentro la storia
da un'intelligenza acuta della parte e del tutto,
del vero e del falso, l'intelligenza tua
aliena dai riti compassati, perfino gelidi,
dei tavoli culturali e politici, ficcato dentro,
e pur libero sempre, le logiche strette
delle convenienze, dei pregiudizi, delle miopi
viste dei potenti e degli impotenti
imboniti rabboniti dominati dai potenti.

Mettevi in scena la violenza della terra
contro il cielo, del cielo contro la terra, tu,
non violento per scelta, per amore, per pietà,
per cultura. La tua voce, a volte limpida,
a volte gracchiante, sotto la spinta delle emozioni,
freddo nelle analisi, appassionato nelle visioni.

La tua voce che diventa lezione di vita
e di morte: "Non ho mai esercitato
nella mia vita alcuna violenza, né fisica
né morale, semplicemente perché
mi sono affidato alla mia natura,
cioè alla mia cultura".  La tua voce, eco
di un tempo ritornante come rito
di parola e di preghiera.

Summary
Lorenza Colicigno's poem recalls her interview with P.P. Pasolini in Matera during the filming of "Il Vangelo secondo Matteo", an encounter that remained indelible in her memory

da “Scritti su Pasolini”
Pasolini e l’irredimibile tenerezza
di Andrea Galgano (legge Luciana Mattei)

[...]L’irraggiungibilità. La sua disperata vitalità è nella crisi del rapporto con la realtà, nel tradimento dei chierici (dirà che i nuovi chierici dell’omologazione saranno preti progressisti che useranno parole libertarie), nel tecno-nichilismo e, infine, nella irredimibile tenerezza: «Questo può urlare un profeta che non ha la forza di uccidere una mosca, la cui forza è nella sua degradante diversità».
La diversità della domanda è il suo urlo senza fine, la ribellione di un abbraccio che degrada, la mancanza («Manca sempre qualcosa, c’è un vuoto in ogni mio intuire ed è volgare questo non essere completo, mai fui così volgare come in quest’ansia, in questo non avere Cristo») e visita dell’alterità:
«Amore con sè stessi senza altro interesse che l’amore, lo stile, quello che confonde il sole, il sole vero, il sole ferocemente antico, sui dorsi di elefanti e i castelli barbarici, sulle casupole del Medioriente col sole della pellicola pastoso, sgranato, grigio, biancore da macero e controtipato, controtipato con altrettanta fisicità che nell’ora in cui è alto e va nel cielo, verso interminabili tramonti di paesi miseri».

Egli che mentre lavorava a quell’umanissimo e divino Vangelo secondo Matteo (1964) in cui ribalta il Cristo-Messia nel Cristo sociale:

«Non figlio di Dio, non preannunciato dai Profeti quale redentore e riconciliatore dell’uomo fattosi, col peccato, nemico di Dio ed escluso dalla Sua visione beatificante, Gesù vi è il denunciatore delle ingiustizie sociali, il fustigatore dei grandi e dei potenti che ne vivono, vittima indifesa lui stesso di una società borghese. Sotto la sua Croce, perciò, non piange la Madonna, Madre di Dio, simbolo e portatrice dei dolori di tutte le madri, bensì una madre tutta e solo umana – la madre del regista – che porta in sé tutte le sofferenze dell’Addolorata; il grido di Cristo morente è quello di un disperato sull’inutilità sociale delle sue parole e del suo sacrificio; ed, alla sua morte, non il velo del Tempio si straccia, ad indicare l’adempimento delle profezie messianiche e l’avvenuta redenzione, bensì crollano i tuguri polverosi dei poveri, con l’auspicio che dalle loro macerie sorga l’attesa Città Terrena di giustizia sociale».

E scrive una lettera a don Giovanni Rossi della Pro Civitate Christiana di Assisi, città dove il regista ebbe, leggendo le pagine del Vangelo nel giorno in cui era lì anche Papa Giovanni XXIII, l’idea del film:
«Sono bloccato, caro don Giovanni, in un modo che solo la Grazia potrebbe sciogliere. La mia volontà e l’altrui sono impotenti… Forse perché io sono da sempre caduto da cavallo: non sono mai stato spavaldamente in sella (come molti potenti della vita o molti miseri peccatori): sono caduto da sempre, e un mio piede è rimasto impigliato nella staffa, così che la mia corsa non è una cavalcata, ma un essere trascinato via, con il capo che sbatte sulla polvere e sulle pietre. Non posso né risalire sul cavallo degli Ebrei e dei Gentili, né cascare per sempre sulla terra di Dio» [...]

da “Scritti su Pasolini”
P.P. Pasolini
Sì, credo sia opportuno parlare di lui ai ragazzi, di Annamaria Molinari
(Legge Rosanna Galvani)

[…] Della poesia di Pasolini si può ricavare una sintesi feconda, che resti pedagogicamente assimilabile rispetto all’età dei ragazzi. Ma molto e di più, vengo al punto, si può fare rispetto al messaggio pasoliniano.
Se Capoluongo e Blasi mi avessero posto la domanda solo quindici anni fa, forse sarei stata più pessimista. Oggi però, davanti al risultato profetico delle visioni di Pasolini sulla destrutturazione del mondo occidentale, credo che un tentativo di realismo educativo possa e debba essere messo in campo.
Anche il trauma sentimentale che questa assurda guerra in Ucraina provoca, con la barbara invasione dei russi, le immagini così dure, i tanti morti, i bambini abbandonati, le famiglie che arrivano disperate alle porte delle nostre case, ci inducono a restituire ai nostri ragazzi un messaggio di verità, di denuncia e, in qualche modo, di ripartenza, di riannodo della nostra e loro vita.
[…]
Quali errori educativi ci rimprovera il poeta e regista friulano? Continuando a leggere si scopre che Pasolini mette insieme borghesia e popolo, che supera la questione di classe, che pure tanto lo ha interessato. Lui è ormai convinto che il nostro modo di amare i figli è sbagliato. Non è libero. La protezione è una corazza che li indebolisce, non li rende pronti alla vita. Che il disastro sociale ingloberà anche i nostri fanciulli e poi i giovani, ecc. Parlerà di un nuovo fascismo, di una morale rigida e dittatoriale, ipocrita e senza bellezza. Una vera e propria catastrofe educativa nonostante un benessere superficiale. Ecco, naturalmente lui è Pasolini, il suo pensiero è drammaticamente colto e profondo. Le sue ferite, anche personali, non possono sfuggire ad un messaggio che appare pessimista, quasi claustrofobico. Ma, a pensarci bene, noi dobbiamo recuperare la dimensione della realtà e la catarsi pasoliniana ha, oggi ci è chiaro, anche una chiave di lettura meno netta. Uno spazio dove incuneare nuove relazioni affettive, educative, pedagogiche. Scevri da ogni moralismo, da donne e uomini liberi. Credo che ai nostri ragazzi dobbiamo più verità e meno certezze. Soprattutto dobbiamo raccontare la storia e il mondo che viviamo offrendo a loro la possibilità del dubbio e della scelta.
Non posso non lasciarvi, però, senza declamare con voi lentamente, dolcemente, con la rabbia pasoliniana dell’incompiutezza del bene e della compiutezza dell’amore universale, la stupenda, struggente poesia dedicata a sua madre. Consiglio questa poesia alle colleghe e ai colleghi perché possano proporla agli adolescenti di oggi, a cui questo legame è obnubilato dall’ossessione del possesso, dal diniego sentimentale. Si tratta di amore allo stato puro. D’altronde l’amore per Pasolini è stato il tema centrale della sua vita d’artista. In “Supplica a mia madre” questo amore, o meglio questa richiesta o esigenza d’amore, diventa evidente, dominante. La mamma nella sua essenza è il ponte verso la vita, verso gli altri oltre sé stesso. La mamma è il traghetto che dà vita al disagio e, allo stesso tempo, è la scialuppa di salvataggio che non deve mai mancare. Una poesia che merita di essere letta e riletta:

Supplica a mia madre (legge fiona saiman)
P. P. Pasolini, Poesie Incivili, 1960

E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
 
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
 
Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
 
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
 
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
 
Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
 
ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
 
Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
 
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
 
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.da “Scritti su Pasolini”
P.P. Pasolini
Sì, credo sia opportuno parlare di lui ai ragazzi, di Annamaria Molinari
(Legge Rosanna Galvani)

[…] Della poesia di Pasolini si può ricavare una sintesi feconda, che resti pedagogicamente assimilabile rispetto all’età dei ragazzi. Ma molto e di più, vengo al punto, si può fare rispetto al messaggio pasoliniano.
Se Capoluongo e Blasi mi avessero posto la domanda solo quindici anni fa, forse sarei stata più pessimista. Oggi però, davanti al risultato profetico delle visioni di Pasolini sulla destrutturazione del mondo occidentale, credo che un tentativo di realismo educativo possa e debba essere messo in campo.
Anche il trauma sentimentale che questa assurda guerra in Ucraina provoca, con la barbara invasione dei russi, le immagini così dure, i tanti morti, i bambini abbandonati, le famiglie che arrivano disperate alle porte delle nostre case, ci inducono a restituire ai nostri ragazzi un messaggio di verità, di denuncia e, in qualche modo, di ripartenza, di riannodo della nostra e loro vita.
[…]
Quali errori educativi ci rimprovera il poeta e regista friulano? Continuando a leggere si scopre che Pasolini mette insieme borghesia e popolo, che supera la questione di classe, che pure tanto lo ha interessato. Lui è ormai convinto che il nostro modo di amare i figli è sbagliato. Non è libero. La protezione è una corazza che li indebolisce, non li rende pronti alla vita. Che il disastro sociale ingloberà anche i nostri fanciulli e poi i giovani, ecc. Parlerà di un nuovo fascismo, di una morale rigida e dittatoriale, ipocrita e senza bellezza. Una vera e propria catastrofe educativa nonostante un benessere superficiale. Ecco, naturalmente lui è Pasolini, il suo pensiero è drammaticamente colto e profondo. Le sue ferite, anche personali, non possono sfuggire ad un messaggio che appare pessimista, quasi claustrofobico. Ma, a pensarci bene, noi dobbiamo recuperare la dimensione della realtà e la catarsi pasoliniana ha, oggi ci è chiaro, anche una chiave di lettura meno netta. Uno spazio dove incuneare nuove relazioni affettive, educative, pedagogiche. Scevri da ogni moralismo, da donne e uomini liberi. Credo che ai nostri ragazzi dobbiamo più verità e meno certezze. Soprattutto dobbiamo raccontare la storia e il mondo che viviamo offrendo a loro la possibilità del dubbio e della scelta.
Non posso non lasciarvi, però, senza declamare con voi lentamente, dolcemente, con la rabbia pasoliniana dell’incompiutezza del bene e della compiutezza dell’amore universale, la stupenda, struggente poesia dedicata a sua madre. Consiglio questa poesia alle colleghe e ai colleghi perché possano proporla agli adolescenti di oggi, a cui questo legame è obnubilato dall’ossessione del possesso, dal diniego sentimentale. Si tratta di amore allo stato puro. D’altronde l’amore per Pasolini è stato il tema centrale della sua vita d’artista. In “Supplica a mia madre” questo amore, o meglio questa richiesta o esigenza d’amore, diventa evidente, dominante. La mamma nella sua essenza è il ponte verso la vita, verso gli altri oltre sé stesso. La mamma è il traghetto che dà vita al disagio e, allo stesso tempo, è la scialuppa di salvataggio che non deve mai mancare. Una poesia che merita di essere letta e riletta:

Supplica a mia madre (legge fiona saiman)
P. P. Pasolini, Poesie Incivili, 1960

E' difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
 
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d'ogni altro amore.
 
Per questo devo dirti ciò ch'è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
 
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
 
E non voglio esser solo. Ho un'infinita fame
d'amore, dell'amore di corpi senza anima.
 
Perché l'anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
 
ho passato l'infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
 
Era l'unico modo per sentire la vita,
l'unica tinta, l'unica forma: ora è finita.
 
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
 
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…


TIMISOARA PINTO
Pasolini e la musica
Che cosa sono le canzoni? Un capriccio all’italiana.
Intervista possibile (leggono fiona saiman e Sergeji Zarf)

Se non avesse fatto lo scrittore e il poeta, cosa sarebbe diventato Pier Paolo Pasolini?
Avrei fatto lo scrittore di musica.
Che musica ascolta?
Genericamente della musica classica, sono ossessionato da Bach e da Mozart e quando non ascolto musica classica, allora cerco la musica popolare, ma quella vera, quella raccolta dagli etnologi, quella che ho adoperato nel commento musicale di “Medea”, i canti tibetani popolari, i canti d’amore iraniani, ma non riesco mai a staccarmi da Bach e da Mozart.
La musica leggera quindi non le interessa?
Amando la vita sotto tutti i punti di vista, la amo, in un certo senso, anche in questo suo aspetto che io considero intellettualmente piuttosto volgare, di basso livello in Italia.
Quale aspetto, dunque, la incuriosisce?
La musica leggera italiana mi sembra veramente brutta, però ci sono certi dei momenti in cui non si può prescindere dal fatto che questa musica leggera ci sia. Risentendo certe canzonette di dieci anni fa, c’è quel fenomeno che Proust chiama “Les intermittences du coeur”. Sentendo delle note, pur stupide, di dieci anni fa, improvvisamente quel brano appare ai nostri occhi… nel ricordo acquista un’altra valenza, attraverso il sentimento che ci mettiamo, ma di per sé, la canzonetta ha scarso valore. Voglio dire che le canzoni, anche se non sono belle, possono essere importanti per noi per i ricordi che evocano. Quindi la musica leggera è misteriosamente legata alla nostra vita quotidiana e di conseguenza un certo amore ce l’ho, ma a livello intellettuale devo fare delle scelte piuttosto rigorose.
Lei non ha qualche ricordo legato a una canzone?
Un ricordo particolare non direi, le canzoni non sono mai entrate così a fondo nella mia vita privata da legarsi a un episodio privato della mia vita, più che altro evocano atmosfere, ricordi di certi periodi. In questo senso potrei dire che c’è una canzonetta, “Amado mio” cantata da Rita Hayworth, che mi evoca i tempi in cui andavo a ballare nelle balere friulane, quindi le estati un po’ umide del Friuli della mia gioventù.
Ci dica almeno un nome nell’ambito della musica leggera che ha ascoltato recentemente…
L’unica musica contemporanea che mi è piaciuta di questi tempi è quella dei Beatles e dei Rolling Stones, in Italia forse l’Equipe 84…
Allora qualche “canzonetta” che ha attirato la sua attenzione c’è…
Sulle canzonette potrei dare due tipi di risposte del tutto contrarie, niente meglio delle canzonette ha il potere magico abiettamente poetico di rievocare un tempo perduto. Sfido chiunque a rievocare il dopoguerra meglio di quello che possa fare il boogie woogie o l’estate del ’63, meglio di quel che possa fare “Stessa spiaggia stesso mare”. Les intermittences du coer più violente, cieche e irrefrenabili, sono quelle che si provano ascoltando una canzonetta. Chissà perché i ricordi delle sere o dei pomeriggi o dei mattini della vita si legano   così profondamente alle note che infila nell’aria una stupida radiolina o una volgare orchestra, e anche la parte odiosa, repellente di un’epoca aderisce per sempre alle note di una canzonetta. Pensate a “Pippo non lo sa”. Ad ogni modo, non sono un buon giudice.
Soffro di antipatie e simpatie profonde per i cantanti e le melodie, il massimo dell’antipatia è per la canzonetta crepuscolare, di cui potrei dare come paradigma “Signorinella pallida”. Aggiungo infine che non mi dispiace il timbro orgiastico che hanno le musiche trasmesse dai juke-box.  Tutto ciò è vergognoso, lo so, e quindi devo dire che il mondo delle canzonette è oggi un mondo sciocco e degenerato, non è popolare, ma piccolo borghese e come tale profondamente corruttore.
La tv è colpevole della diseducazione dei suoi ascoltatori anche per questo. I fanatismi per i cantanti sono peggio dei giochi del circo.
[…]
Nel frattempo, però, è diventato anche un autore di canzoni. Com’è nata la collaborazione con Sergio Endrigo per il brano “Il soldato di Napoleone”?
È stato il direttore artistico della RCA, Ennio Melis, a farci incontrare.  Endrigo aveva 27 anni, era di undici anni più giovane di me e aveva già scritto “Io che amo solo te”, “Aria di neve”, “Viva Maddalena” e altre. Tra queste altre c’era anche “Via Broletto”, un testo che poteva far pensare ad alcune ambientazioni o atmosfere che ho descritto nei miei romanzi, ambientati a Roma e nelle sue periferie. Tuttavia, di Endrigo mi interessava la sua storia di esule istriano, le nostre comune origini, lui è nato a Pola, io cresciuto a Casarsa della Delizia, Trieste  a metà strada. Così gli chiesi di cercare fra le mie poesie friulane pubblicate ne “La meglio gioventù” e di musicarne una a suo piacimento e lui scelse “Il soldato di Napoleone”. In calce all’originale friulano, c’era già una mia versione in italiano ed Endrigo partì da quella, senza modificare nulla, se non lo stretto necessario per adattarlo alla metrica della musica che aveva scritto.
[,,,]
Alcune di queste canzoni saranno cantate anche tra cinquant’anni...
Ho scritto due canzonette per Laura Betti, e poi facendo una specie di collage prendendo dei versi da “L’Otello” di Shakespeare, una breve canzone da inserire in un mio episodio che si intitola “Che cosa sono le nuvole” che faceva parte del film “Capriccio all’italiana”, queste mie parole le ha musicate Modugno, e devo dire che l’ha fatto molto bene.

(Timisoara Pinto ha tratto le risposte di Pier Paolo Pasolini da alcuni suoi scritti e dalle interviste in diversi programmi Rai, raccolte recentemente da Elisabetta Malantrucco nello speciale di RaiPlaySound “Pasolini, appunti musicali”)

Gruppi e cantanti contemporanei citati da Pasolini come preferiti
Contemporary groups and singers cited by Pasolini as favorites

1 - Beattles - you cant do that live
https://www.youtube.com/watch?v=y8Dpt7TI9q0&list=PLsIFeK_CcH0dnSNjuB0TxdqmCzjBPZxJj&index=1

2 - Rolling Stones - Streets Of Love
https://www.youtube.com/watch?v=EpeTD2dwF-c

3 -Equipe 84 - 29 settembre
https://www.youtube.com/watch?v=vGCA-320cbM

4 - Amado mio - GILDA '46 Rita Hayworth /HD_w. Lyrics
https://www.youtube.com/watch?v=B9cKV63fa_8

Testi di canzoni scritti da Pier Paolo Pasolini
Song texts written by Pier Paolo Pasolini

5 - P.P.P. - Sergio Endrigo - Il Soldato di Napoleone
https://www.youtube.com/watch?v=5nzIJlbd8AE

6 - Testi scritti da Pasolini, musiche di Piero Umiliani
Laura Betti - Macrì Teresa detta Pazzia
https://www.youtube.com/watch?v=1KCZhxBl1is

7- Laura Betti - La ballata del suicidio
https://www.youtube.com/watch?v=DVMkXe-Juvw

8 - Laura Betti - Valzer della toppa
https://open.spotify.com/track/1sb6Tn1mMLVRrke85pPQLL

Colonne sonore
dal film Il vangelo Secondo Matteo
Soundtracks
from the movie Il Vangelo secondo Matteo

9 – Missa Luba
https://www.youtube.com/watch?v=jOW8sRcz74Q

10 - Signore mio "from a hebrew song" (Il Vangelo secondo Matteo) - https://www.youtube.com/watch?v=OwSGPIZ7WvY

dal film Accattone
from the movie Accattone

11 - Bach: Brandenburg Concerto No. 1 - parte della colonna sono del film Accattone
https://www.youtube.com/watch?v=BOZEj8wyj-I

12 - Giovanni Bach - Passione Secondo Matteo  
https://www.youtube.com/watch?v=h1mzBccy3a8



Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…



 

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