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Craft 17
novembre 2022
Quando si
affronta il tema della scrittura delle donne non è tanto importante ma utile
punto di partenza chiedersi se occupi nel tempo quantitativamente e
qualitativamente spazi ridotti rispetto a quella degli uomini. Che una poesia
antica al femminile esistesse gia' nel V secolo a.C. non aveva dubbi Corinna di
Tanagra in Beozia, in gara polemica con Pindaro, che criticava con ironia ed autoironia la sua conterranea
Mirtide, perché «donna di nascita, come lei, era entrata in contesa con
Pindaro». Pitagora IV-V sec a. c. trasse
la maggior parte delle sue dottrine etiche dagli insegnamenti di una
sacerdotessa di Delfi, Themistoclea, e Filocoro di Atene riempì un intero
volume, parlando delle discepole di Pitagora a Metaponto, scienziate e poetesse
insieme, la più grande Teano. Antipatro di Tessalonica riservo' a 9 poetesse un
epigramma palatino. Nell'antica citta' reale parta di Nisa, nel Turkestan
sovietico, Paul Bernard crede di aver individuato una giostra di 10 poetesse
greche, a partire da Corinna, Mirtide, Saffo. E Taziano nel Discorso ai Greci
inventario', scandalizzato, ben 13 statue di autrici pagane. Presterà
attenzione alle «prose» di Pieria Io. Christianus Wolfius, che ne raccogliera'
nel '700 Fragmenta et Elogia, esiste poi un archivio contemporaneo delle donne
scrittrici che comprende circa mille nomi. Superato l'aspetto quantitativo,
entriamo nella questione della qualità, ambito molto delicato, poiché coinvolge
non solo un mix di aspetti soggettivi, ma soprattutto oggettivi, cioè tutti gli
aspetti legati alla divulgazione e alla trasmissione dei testi letterari, che
determinano il gusto letterario, tradizionalmente governata da una cultura
maschile, il che comporta che ciò che cambia rispetto agli uomini è il livello
di “risonanza”, di “fama”, di “popolarità”, e quindi anche di capacità di
incidere profondamente nell'universo della scrittura, dei suoi topoi e modelli.
Per tradizione, una tradizione maschile, alla donna è spettato l'hic et nunc
della parola orale, all'uomo quello del ubique et semper della parola scritta.
Persistere in questo schema di lettura ha generato pregiudizi di cui uomini e
donne continuano ad essere vittime, certamente, è tema che necessità di essere
contestualizzato e storicizzato. La parola chiave è indubbiamente “durata”, la
parola è durata, la scrittura conferma questa durata, e la massima estensione
della durata è l'eternità, il dio cristiano non a caso è Verbum. Chi dà durata
alla parola attraverso la scrittura inevitabilmente si sente parte di un
destino di eternità che passa attraverso la fama, essa ne convalida la capacità
modellizzante. Ma se confrontiamo le parole di Saffo, «Morta giacerai, né piu'
alcuna memoria di te / ci sara', né ora né mai. Tu non sei piu' partecipe delle
rose / di Pieria e come una qualunque anche in casa di Ade / vagherai fra
spettri indistinti, svanita», con quelle di Virginia Wolf “Finchè scrivete ciò
che volete scrivere, questa è la sola cosa che conta; e se conti per un giorno
o per un’eternità, nessuno può dirlo.”, ci accorgiamo di un lungo cammino, nel
quale sono stati montati e smontati molti clichet.
Cominciamo
dall'inizio, da un riferimento mitico, la più antica scrittura femminile nella
più antica cultura greca e magnogreca ebbe come protagoniste figure femminili,
e ovviamente fu necessario che esse stesse fossero toccate dalla divinità
maschile, sto parlando delle Sibille, quella Eritrea e quella Cumana, ma è
proprio dal modello sibillino, che sembrano emergere tre coordinate
antropologiche della scrittura femminile:
1)la scrittrice
come detentrice di parole che racchiudono una forma di potere, le parole delle
formule, dei riti è proprio questa la più pericolosa, e quindi assimilata alla
medichessa, alla guaritrice, diventate spesso “le streghe”, aspetto che è molto
presente nella nostra cultura popolare. La parola della donna è stata per molto
tempo confinata nello spazio tra il silenzio dell’esclusione e la valutazione
del suo grido come follia. O muta, o
pazza, non ci sfugga l'esperienza contemporanea di Alda Merini, o strega. A
questo blocco della parola femminile sembrano rispondere queste di Antonia
Pozzi: cc stessi e con l’Altro è stata temuta, perché metteva a rischio sistemi
di potere consolidati. La tradizione, sempre maschile, ha considerato dominio
della donna altri territori oltre quelli dell'oralità, quello della parola
debole, la chiacchiera, la narrazione, l’affabulazione “nello spazio del
gineceo”, ma la parola che scava alla ricerca della verità e la pronuncia,
quella che dà accesso alla comunicazione forte e alla decisionalità, le è stata
a lungo preclusa. Ma a noi tocca anche di entrare in questo meccanismo
valutativo che considera la narrazione, l’affabulazione, come una sorta di
recinto marginale della scrittura femminile.
2) la verità e il coraggio della verità,
specificità della scrittura femminile, potremmo richiamarci alla definizione data
da Marianne Moore per la poesia: “uno spazio per l’autentico”, e condividere il
pensiero di Paola Mastrocola che afferma: “La scrittura femminile, più di
quella maschile, è costruita sulla ricerca della verità. Scrivere è riflettere
su se stesse, guardare a costo di trovare il buio e l’orrore. E’ questo estremo
coraggio dello sguardo”. Una caratteristica della donna che scrive è il
richiamo dell’estremo, il suo non mediare, nell’arte come nella vita. Una volta
presa coscienza, la donna che scrive la propria ribellione vi si consegna senza
riserve. Ed ecco da un lato le scelte di avanguardia nei movimenti letterari,
le scelte estreme nella politica (AKhmatova, Barkova, Cvetaeva), nel privato
(dalla medievale Eloisa a Lou Salomè, Sibilla Aleramo, fino alle suicide, come
la poco nota rionerese Giuliana Brescia, ma molte altre a partire da Virginia
Wolf). Tra la ricerca e la pronuncia della verità si pone un altro aspetto
della scrittura femminile: la consapevolezza di usare lo stesso strumento
dell'uomo, la parola appunto, ma per dire cose diverse e dare sensi diversi.
Antonia Pozzi lo dice bene, svelandoci nel contempo quanto questa
consapevolezza possa essere motivo di dolore, prima che di orgoglio della
propria differenza, in SFIDUCIA
3) La
leggerezza, se vogliamo dirlo in termini calviniani, la leggerezza, che può
essere intesa come dispersione e ambiguità, come appunto per i vaticini delle
sibille, ma sul piano simbolico può anche essere segno di una ricerca di
libertà, di sperimentazione di giochi combinatori e di sensi altri, come modo
per sfuggire al peso di modelli maschili consolidati.
3) Fernanda Romagnoli parla del tema della sua
scrittura, l'amore, e della scrittura stessa come di un “gioco di fonosillabe”,
è affascinante il collegamento con le foglie spinte vie dal vento insieme alle
parole dei vaticini Sibillini. Ma quella che abbiamo definito leggerezza, è
stata dalla critica fino all'età cibernetica tutta rigidamente maschile,
definita superficialità. Il fatto che la donna prediliga il tema dell'amore,
che lo tratti in termini diversi da quelli tradizionali, ha condannato alla
dimenticanza tanta scrittura dell'800. In questo periodo molte donne hanno
scritto libri, che, anche se non vi si trova una specifica “presa di
coscienza”, sono più interessanti di molti libri maschili, ma, ignorati nelle
storie letterarie e nelle antologie, sono “scomparsi”, liquidati dai “critici
laureati” come “senza valore”. Eccessivo lirismo, autobiografismo compiaciuto,
sentimentalismo sono i vocaboli più ricorrenti. Eppure autrici come Carola
Prosperi, Neera, Marchesa Colombi, la Contessa Lara, per citarne alcune, hanno
scritto poesie e storie con rivolti psicologici e sociali importanti, ma cosa
più grave il giudizio negativo dei maschi ha pesato e pesa come un macigno
anche sulla scelta di letture femminili. Perchè questo oscuramento che ha
condizionato anche le donne lettrici? Perché le emozioni, il “di dentro”, la
visceralità di uno scrivere senza filtri e senza censurare il sentimento, ne
hanno determinato la svalutazione immediata, non tanto sulla base di un’analisi
critica attenta, ma proprio sulla base della visione del mondo, per criteri,
dunque, di pregiudizio sessista. I valori che hanno prevalso sono stati quelli
maschili, sono stati gli uomini a decidere cosa avesse o no valore o
significato universale. Dice Virginia Woolf: “Il calcio e lo sport sono
importanti, la moda, i vestiti, sono futili…Questo è un libro importante,
suppone il critico, perché tratta di guerra; questo è un libro insignificante,
perché tratta dei sentimenti delle donne in un salotto”.
La scrittura
delle donne, dunque, ha un “essere” e un “esistere” proprio, non recinto,
limite, bensì sguardo sul mondo che dall'esperienza personale giunge ad
abbracciare l'universo delle relazioni con il “sé” e con l'”altro”.